In questi giorni è quasi impossibile accendere la televisione senza sentire i dettagli di eventi tragici che ci spezzano il cuore, e l’interrogativo di molti genitori è quello se condividere o meno le notizie con i propri figli.
La risposta a questa domanda dovrebbe andare oltre un semplice SI o N0, ma dovremmo soffermarci sul COME FARLO.
Noi genitori spesso cerchiamo di "proteggere" i nostri figli convincendoci che nascondendo loro le notizie difficili li preserviamo da una fatica inutile. Tuttavia, dobbiamo ricordarci che i bambini hanno spesso un livello di consapevolezza, anche del disagio, superiore a quello che gli attribuiamo.
Diviene quindi importante, per loro, avere sempre una “rilettura” da parte degli adulti di riferimento di quello che sta succedendo perché, per quanto cerchiamo di tutelarli, non vivono in una bolla. I bambini osservano, ascoltano i discorsi di noi adulti, sentono le nostre paure, i timori, le cose dette a mezza voce e sussurrate.
Il nostro compitò è quello di fare da filtro e integrare le notizie, magari frammentarie, che hanno per dare un senso a quello che sta accadendo. Questa è un'opportunità per rassicurarli, dare loro sostegno e, potenzialmente, correggere qualsiasi informazione imprecisa in cui potrebbero essersi imbattuti.
Ma come possiamo parlare della guerra ai bambini?
Quando comunichiamo con loro dobbiamo ricordarci di utilizzare un linguaggio appropriato all’età, osservare le loro reazioni e, cosa fondamentale, mettersi in ascolto, partendo dalle loro domande senza anticipare noi i temi. Quando i bambini pongono delle domande significa infatti che sono pronti ad accogliere le risposte. Non dobbiamo poi dare informazioni troppo dettagliate e cerchiamo di evitare immagini cruente che potrebbero non capire, se troppo piccoli. E cosa fondamentale non farlo poco prima andare a dormire.
Se il nostro bimbo non fa domande possiamo cercare di scoprire cosa sa a riguardo e come si sente, perchè alcuni bambini potrebbero sapere poco di quello che sta succedendo e non essere interessati a parlarne, ma altri potrebbero essere molto preoccupati pur restando in silenzio.
Se ci chiedono cos’è la guerra, possiamo farci aiutare da un libro oppure da un disegno, perché no utilizzare cartine geografiche o delle bandiere che possono facilitare il dialogo e rendere più concreti dei concetti che, per i più piccoli, risulterebbero troppo astratti.
Ricordiamoci poi che i bambini vivono gli eventi e valutano la loro pericolosità in base a come reagiscono e si comportano gli adulti di riferimento. Si chiama contagio emotivo, ovvero provano un’emozione che non è loro ma che prendono da noi e se questa non viene verbalizzata e spiegata, rischia di confonderli e angosciarli ulteriormente.
Queso vale non solo per la guerra ma anche per tutti altri aspetti complessi della vita che ci troviamo ad affrontare con loro.
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
G.Rodari
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